FEMINIST AS FUCK – un poster al centro del crowdfunding per sostenere il nuovo progetto femminista di CHEAP

Abbiamo lanciato un nuovo crowdfunding – e anche questa volta abbiamo bisogno di voi.

 

CHEAP porta in strada da anni interventi di poster art attraversati da energie transfemministe, nel tentativo di contribuire alla creazione e alla diffusione di un immaginario di liberazione dei corpi, dei desideri e delle esistenze da quella cosetta tossica che è il patriarcato.

Siamo al lavoro per realizzare il prossimo progetto femminista di arte pubblica su poster ed essere ancora una volta piattaforma nello spazio pubblico per altre artiste: col tuo contributo, porteremo il nuovo intervento di poster art in strada a Novembre 2024.
Tra le ricompense, c’è un nuovo poster di CHEAP: ricevilo in cambio di una donazione.
Tutte le informazioni per partecipare al CROWDFUNDING QUI.
Perché lo stiamo facendo?

“Prendiamoci un momento per pensare all’arte pubblica che incontriamo, in una media città italiana. La potremmo esemplificare con una statua, quella di un uomo bianco a cavallo; forse ha dei titoli nobiliari, sicuramente ha dei gradi militari; con buona probabilità sta tornando dal genocidio che ha commesso e per cui verrà celebrato in patria. Questo è il paradigma: un paradigma razzista che costruisce un’ideale maschile di bianchezza, esaltato nella sua capacità di esprimere oppressione.
Questo immaginario, questo insieme di segni e simboli a cui è affidata la narrazione del bene e del male che viene riprodotta nello spazio pubblico, descrive delle prospettive aberranti, perché aberrante è il razzismo che veicola, l’oppressione di genere che comporta, l’ideale abilista che esprime e il classismo fondativo su cui si erge.

 

Questo immaginario è l’oggetto dei nostri sforzi: con metodo e abbracciando una prospettiva di lunga distanza, intendiamo partecipare allo sforzo di farlo a pezzi. Allo stesso tempo, pensiamo che la polverizzazione metodica delle statue equestri di cui sopra debba essere accompagnata dalla costruzione di un nuovo immaginario, in grado di declinare l’alterità che dallo spazio pubblico e dalle rappresentazioni in esso sviluppate è fino a ora stata bandita. Se lo standard è uomo, bianco, cisgender ed etero, espressione dell’upper class, fuori da questa narrazione e dallo sguardo che la produce rimane un’umanità enorme: restano escluse le donne, le persone non binarie, la comunità LGBTQIA+ in gradi diversi, chi si porta in giro un corpo nero o razzializzato, chi migra, chi non è conforme alla retorica abilista, chi è precariə, chi è senza dimora, chi vive in contesti di marginalità. Sono davvero molto estese le comunità delle soggettività che non trovano rappresentazione e che vivono quindi un gap di cittadinanza nell’ordine simbolico: queste storie, questi sguardi, questi corpi sono esclusi dall’ordine del discorso a cui si partecipa – o che si subisce – nello spazio pubblico.

 

L’immaginario e il modo in cui lo decliniamo non sono materia innocua. Se non rappresentiamo le donne nello spazio pubblico e se quando lo facciamo le rappresentiamo come oggetti del desiderio maschile, siamo complici di un sistema che produce violenza di genere. Non stupitevi se ci trattano come oggetti, come proprietà, come divertissement sessuale, perché per secoli ci hanno rappresentate così, questo è il canone culturale condiviso su di noi e questo stesso paradigma ancora oggi resiste al cambiamento. Se nello spazio pubblico non rappresentiamo dignitosamente corpi neri e razzializzati, contribuiamo a nutrire quel discorso distorto e razzista che promuove l’idea che l’Italia abbia una granitica identità nazionale bianca: il suprematismo ha prima di tutto base culturale, senza la quale non siamo certe che uomini bianchi armati commetterebbero omicidi e stragi su base razziale. Se non rimuoviamo l’insieme di segni e simboli che celebra come valore la ricchezza individuale letteralmente a ogni costo, non possiamo aspettarci che la giustizia sociale sia riconosciuta come ideale condiviso e alla base della nostra convivenza civile. L’arte pubblica non è una cosa innocua, ma un oggetto estremamente affilato.

 

Ampliare (o, meglio, divellere) il gate di accesso che regola l’ingresso e l’espulsione dall’immaginario presente nell’ambiente urbano è parte del lavoro di CHEAP. La nostra pratica artistica, i linguaggi visivi contemporanei che adottiamo, l’impermanenza e l’instabilità espresse dalla carta con cui ci manifestiamo sul paesaggio urbano sono il nostro piede di porco.”

 

 

Immaginiamo che non ti stupirà sapere che anche il piede di porco ha un costo: la progettazione, la fee delle artiste, la stampa, l’affissione, la fee di fotografe e video maker, sono tra le voci di spesa che dobbiamo sostenere.

Sostieni il progetto con una donazione, adotta un piede di porco insieme a noi.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *